Alessandro in Sidone (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO TERZO
 
 Stanze terrene nel palazzo.
 
 SCENA PRIMA
 
 FENICIA e ARGENE
 
 ARGENE
 Come pensi schernirli?
 FENICIA
815Sia quanto puote uom saggio,
 ha il suo debole anch’esso. In Aristippo
 ciò che prevale è il fasto.
 ARGENE
                                               In Crate?
 FENICIA
                                                                   Il senso.
 ARGENE
 Vedi che volto, onde sien presi i cori!
 FENICIA
 Il primo io coglierò, qual pesce all’esca,
820cinto in mirarlo di corona e di ostro.
 ARGENE
 E a te non mancheran vezzi e lusinghe
 per trar l’altro alla rete.
 FENICIA
                                             Ecco Aristippo.
 
 SCENA II
 
 ARISTIPPO e le suddette
 
 ARISTIPPO
 Due soli di nostr’alma esser gli affetti,
 Fenicia, è mia sentenza,
825il piacere e il dolor.
 FENICIA
                                      Soave il primo
 e gentil movimento,
 aspro il secondo e da fuggirsi ognora.
 ARGENE
 A lei tu ciò insegnasti, a me quest’alma.
 ARISTIPPO
 Per fuggir dunque il duol, tormi non deggio
830del tuo disprezzo al torto?
 FENICIA
                                                 E che vorresti?
 ARISTIPPO
 All’ingiuria compenso, al duol riparo.
 ARGENE
 (Chi l’insidie non vede, in esse inciampa).
 FENICIA
 Di Alessandro al favor non fai ricorso?
 ARISTIPPO
 No, che pria del suo voto il tuo vorrei.
 FENICIA
835Già diedi una ripulsa.
 ARISTIPPO
 So il costume del sesso,
 negar, per ceder poi con più decoro.
 FENICIA
 Fan così le plebee. Del mio rifiuto
 poco intendi l’arcano.
 ARISTIPPO
                                          A me lo esponi.
 ARGENE
840(La preda è nella rete).
 FENICIA
 Onoro in Aristippo il mio maestro;
 ma per amarlo, in lui
 di uno sposo regal, quale a me dessi,
 vorrei farmi un’idea. Saprebbe il core
845allor, dagli occhi miei, se un sol l’oggetto
 esser può del rispetto e dell’amore.
 ARISTIPPO
 Nel maestro che onori,
 amar potrai lo sposo ed il regnante.
 FENICIA
 Ma per amarlo ei pria dee farmi amante.
 ARISTIPPO
850Come? Non bene intendo.
 ARGENE
 Non intendo? Un filosofo? Io l’intendo,
 senza filosofia.
 Vuol dir che tu cotesti abiti spogli
 e con manto e corona
855ti presenti a’ suoi lumi.
 Non è così? (A Fenicia)
 FENICIA
                         Così, germana, appunto.
 ARISTIPPO
 Cerchi vero piacer da falso aspetto?
 FENICIA
 Senza di questa legge io non ti accetto.
 ARISTIPPO
 Ma come farlo? Ov’è diadema e manto?
 FENICIA
860Rimembranze funeste! Ho quei del padre.
 ARGENE
 Ove ti piaccia, a un cenno mio fien pronti.
 FENICIA
 Sì, vanne, amata Argene; e tu gli attendi
 nel vicino giardin. Poi verrò anch’io.
 ARGENE
 Colà gli avrai. (Questi è già colto). Addio. (Ad Aristippo)
 
865   Vago sei quanto un Narciso;
 ma il diadema al tuo bel viso
 più vaghezza aggiungerà.
 
    Ed attonito ogni core
 non saprà se in te maggiore
870sia il sapere o la beltà.
 
 SCENA III
 
 FENICIA, ARISTIPPO e CRATE
 
 FENICIA
 Vien Crate.
 ARISTIPPO
                        Ah, il mio rivale.
 FENICIA
 Di Alessandro nel cor ma non nel mio.
 CRATE
 Addio, can meliteo, can signorile.
 ARISTIPPO
 Chi più cane è di te che sei mastino?
 FENICIA
875(Gentil scena ad udir qui m’apparecchio).
 CRATE
 Quella, che porti indosso
 purpurea vesta, è di tua madre o tua?
 ARISTIPPO
 Vai tu nudo o vestito? Hai tu su l’ossa
 pelle? O non l’hai? Tanto sei straccio e smunto.
 CRATE
880Vesta certo è di donna intorno ad uomo.
 Che guardi tu?
 ARISTIPPO
                               Per gli forami io guardo
 del tuo lacero pallio,
 se t’esce la pazzia; ma l’hai nel capo.
 FENICIA
 (Questi son quei che saggi il mondo appella).
 CRATE
885Se un caval ben bardato avvien ch’io miri,
 mi sovvien di Aristippo.
 ARISTIPPO
                                               E quando m’urta
 un asino indiscreto, io penso a Crate.
 CRATE
 Grasso abbastanza è l’animal. Ben tosto
 trarsi puote al macello.
 ARISTIPPO
890Oh figura gentil! Tu star dovresti
 ne’ seminati a spaventar gli uccelli.
 FENICIA
 (Oh, qui fosse Alessandro!)
 ARISTIPPO
 Mostra; che hai tu nel sacco?
 Crud’erbe, muffo pane.
895Cibo appunto da cane o da giumento.
 CRATE
 S’io volessi adular, come Aristippo,
 oro in tasca anch’io avrei, fagiani a mensa.
 ARISTIPPO
 Nero avvoltor, ti pasci in sucidume.
 CRATE
 Peggior dell’avvoltore è il lusinghiero;
900quello i morti sol rode e questo i vivi.
 FENICIA
 Non stan due femminelle
 altercando così. Vergogna, o saggi.
 CRATE
 Saggio colui? Secondo i pazzi.
 ARISTIPPO
                                                        È Crate
 pazzo secondo tutti.
 CRATE
905Chi ottien biasmo da’ tristi, è in lode a’ buoni.
 ARISTIPPO
 Uomo ancor non intesi a te dar lode.
 CRATE
 La colpa è tua, che ancora
 praticar non sapesti un uom da bene.
 ARISTIPPO
 Di Fenicia le nozze
910che buon boccon saria per li tuoi denti!
 CRATE
 E di Sidone il regno
 che gran pasto saria per la tua fame!
 ARISTIPPO
 Eh, per bestia da soma
 la gualdrappa non è.
 CRATE
                                        Sei volpe fina;
915ma non entri in pollaio questa volta.
 FENICIA
 (Mai non la finirian). Parti, Aristippo.
 Argene attende.
 ARISTIPPO
                                Ah, quasi
 l’avea posta in obblio.
 Ma co’ pazzi a garrir non ci è vantaggio;
920e chi è il primo a tacer, sempre è il più saggio.
 
    Laido, misero, pezzente,
 incivile, superbo ma vile,
 del saper, che tu professi,
 meglio impara a profittar.
 
925   Quel vantar salvatichezza,
 quel vestir con sordidezza
 non dà grazia e non dà stima
 ma fa rider e beffar.
 
 SCENA IV
 
 FENICIA e CRATE
 
 FENICIA
 Con sì lieto sembiante
930di Aristippo le ingiurie ascolti e soffri?
 CRATE
 Ciò che il foco al metal, fan l’onte al saggio.
 FENICIA
 Molto ei disse in tua offesa.
 CRATE
 Euticrate, Nicodromo e tanti altri
 mi fecer peggio. E Crate ognor fu Crate.
 FENICIA
935Tu però le sferzate
 con usura ben grande a lui rendesti.
 CRATE
 Intendo. Il cor ti duole,
 perché fu punto il tuo gentil maestro.
 FENICIA
 (Or di coglierlo è tempo).
 CRATE
940Lo so, lo so; ti parla
 in pro del suo saper la sua bellezza.
 Da voi sempre si apprezza
 quella filosofia ch’entra per gli occhi.
 FENICIA
 T’inganni. Io non decido
945degli occhi miei col voto;
 e in Aristippo i suoi difetti io veggo.
 CRATE
 Perché dunque lo segui?
 FENICIA
 Noi sai? Loda una stella
 chi la luce del sole ancor non vide.
 CRATE
950(Bella è Fenicia). E quando il sol poi vede?
 FENICIA
 Più la stella non guarda e lui sol mira.
 CRATE
 (Bel colpo! se al nimico e a sue dottrine
 toglier costei potessi).
 FENICIA
 (Già cade). Povertà meglio che lusso,
955modestia più che fasto amo nel saggio.
 Oh fosse Crate il mio maestro! Oh il fosse!
 CRATE
 (Colpo più bel, se l’innamoro!) In Crate,
 che di amabil ritrovi e che di buono?
 FENICIA
 Tutto. Aspetto virile,
960aria grave, cor grande e ciò che degno
 di Fenicia può farlo e più del regno.
 CRATE
 Di regno non parliam. Fenicia sola
 vincer mi può. Sì, o bella. In certi istanti
 a’ filosofi ancora amor comanda.
 FENICIA
965E sotto alle sue leggi
 rozza filosofia gentil si rende.
 CRATE
 Crate, se vuoi, fia tuo maestro. (È bella).
 FENICIA
 E se vuol compiacermi, ei fia mio sposo.
 CRATE
 Compiacerti? (Oh begli occhi!) Or di’, che vuoi?
 FENICIA
970Cotesti tuoi laceri ammanti e troppo
 sordidi arnesi e vili,
 di Fenicia all’amor fann’onta e scorno.
 CRATE
 Veder vorresti un Ganimede in Crate?
 FENICIA
 No; ma più colto agli occhi altrui lo bramo
975per discolpar i miei.
 CRATE
 Io questo pallio e questo sacco apprezzo...
 FENICIA
 Più di Fenicia. Dillo.
 CRATE
 No, cara. (È bella assai!) No, ma conviene
 alla cinica setta il vestir mio.
 FENICIA
980Non parlo più. Cinica setta, addio. (In atto di partire)
 CRATE
 Ferma. (Avvampo d’amor). Di me, che il mondo,
 Diogene che diria?
 FENICIA
 Dove Diogene parla, io non rispondo. (Di novo in atto di partire)
 CRATE
 Deh, non partir. (Son colto). Onde poss’io
985altri abiti trovar? Povero sono.
 FENICIA
 Qui trattienti per poco e per mio cenno
 tosto gli avrai, poi con Fenicia il trono.
 CRATE
 Abbia il trono Aristippo. Io te sol cerco.
 FENICIA
 Mi avrai ma teco in soglio.
990E il superbo rivale, il vano amante
 vedrà Crate mio sposo o suo regnante.
 
    Nel tuo volto... (l’ho ben colto)
 di uno sposo io veggo il brio
 e di un re... (rider mi fa)
995e di un re... (non posso più)
 la sovrana maestà.
 
    E già sento nel cor mio
 il poter... (di tua pazzia),
 il poter di tua virtù
1000e il piacer... (che frenesia!)
 e il piacer di tua beltà.
 
 SCENA V
 
 CRATE e IPPARCHIA
 
 CRATE
 (Diogene mi perdoni).
 IPPARCHIA
                                            (Ecco l’ingrato).
 CRATE
 (Fenicia è troppo bella).
 IPPARCHIA
 (Egli tra sé favella).
 CRATE
1005(Bella; ma il pallio... Oh sesso
 negletto ma cercato!)
 IPPARCHIA
                                         (Ipparchia, ardire). (Se gli accosta)
 CRATE
 Un filosofo? Eh, sì. Già in questo core
 della filosofia trionfa amore.
 IPPARCHIA
 Grazie dunque ad amor. Ipparchia infine...
 CRATE
1010O in fine o in mezzo, e che vuoi tu da Crate?
 IPPARCHIA
 Ch’ei mi lasci sperar, poiché una volta...
 CRATE
 Che volta? Che sperar? Riedi a Marona.
 IPPARCHIA
 Deh, ferma. Tu dicesti,
 o il disse amor per te, che nel tuo core
1015della filosofia...
 CRATE
 Taci. (Mi udì costei). Non m’intendesti.
 Dissi che la filo... che amor... Ma vanne.
 Conto non rendo a te di quel ch’io dissi.
 IPPARCHIA
 Conto rendimi almeno
1020di tanti passi miei; rendimi conto
 delle lagrime mie, de’ miei sospiri.
 CRATE
 (Qui vedrebbe Aristippo
 se tanto sozzo e tanto vil son io).
 IPPARCHIA
 Ah, sì, conto mi rendi
1025del mio tenero amore...
 CRATE
 (Alle bestie da soma
 non si fan tanti preghi).
 IPPARCHIA
 Scacciata dal tuo sdegno, a te ritorno;
 dal tuo core abborrita, ancor ti adoro.
 CRATE
1030(Tutte mi aman le belle). Orsù, dicesti?
 IPPARCHIA
 Dissi; e pietade attendo.
 CRATE
 Io di tue frenesie... (Guardando dentro la scena)
 Ma veggo Argene e i servi.
 Andiam. Tutto è già pronto. (In atto di partire)
 IPPARCHIA
1035Crate, Crate, tu parti?
 CRATE
 Io di tue frenesie non rendo conto.
 
    Vuoi spezzar le tue catene?
 Va’; dispera del mio amor;
 e di’ al tuo pazzo cor
1040che più non m’ami.
 
    La lusinga della spene,
 che promette a te il goder,
 fa il misero piacer
 de’ tuoi legami.
 
 SCENA VI
 
 IPPARCHIA
 
 IPPARCHIA
1045Ciel, che ascolto! Che veggo!
 Perché que’ tronchi accenti? Alla mia vista
 un saggio si confonde?
 Che mai disse di Argene? Ah, Crate in Crate
 più non ritrovo; e sempre Ipparchia, oh dio,
1050in Ipparchia vegg’io!
 
    Chi è infelice nell’amar
 un ingrato vincer può
 col valor della costanza.
 
    Non imparo il disperar
1055da colui che m’insegnò
 di ogni mal la tolleranza.
 
 SCENA VII
 
 ADDOLONIMO seguito da un fenicio
 
 ADDOLONIMO
 Tu fedele il mio foglio
 recasti ad Alessandro; e in tua mercede
 non ho un obolo pur. Del mio giardino
1060darò semplici frutta... (Il fenicio si parte)
 Disdegnoso egli parte.
 Non mi duol povertà, se non per gli altri.
 Io per me di mia sorte
 vivo contento. Il bene,
1065che di perder sol temo, è l’innocenza.
 Questa nel mio silenzio era in periglio,
 che chi vietar può il male,
 se nol vieta, lo fa. Viene Alessandro.
 
 SCENA VIII
 
 ALESSANDRO e ADDOLONIMO
 
 ALESSANDRO
 Uom da bene, chi sei?
 ADDOLONIMO
                                           Quell’uom da bene,
1070che tu già mi appellasti, esser desio.
 ALESSANDRO
 Non mi è ignoto il tuo volto.
 ADDOLONIMO
 Come il sol valli e monti,
 guarda anche il re bassi e sublimi oggetti.
 ALESSANDRO
 Io ti osservai più volte
1075nel vicino giardin.
 ADDOLONIMO
                                    Dalle mie mani
 ei riceve cultura,
 io da lui nutrimento.
 ALESSANDRO
 (Ha in semplice vestito e in vile impiego
 nobile aspetto e ragionar gentile).
1080Il tuo nome?
 ADDOLONIMO
                           Addolonimo.
 ALESSANDRO
                                                     Tal dirsi
 intesi, i cui maggiori
 già regnaro in Sidon.
 ADDOLONIMO
                                         Grandezza in loro
 finì; principiò in lui stento e disagio.
 ALESSANDRO
 Quel tu saresti?
 ADDOLONIMO
                                A tanta
1085meschinità son giunto
 ch’è menzogna il negarlo e pare il dirlo.
 ALESSANDRO
 Nato di regal sangue,
 avvezzar ti potesti
 alla rustica marra?
 ADDOLONIMO
                                     Esser qual nacqui
1090non potea nella reggia; e comparirvi
 sdegnai, qual io non era.
 Così lontano dalla turba errante,
 vissi a me stesso; e ciò che rado ottiensi
 o non mai, dov’è fasto, invidia e lusso,
1095conservai libertà, pace, innocenza.
 ALESSANDRO
 Come sostieni tua fortuna avversa?
 ADDOLONIMO
 Con alma sì tranquilla,
 con cui non so se sosterrei l’amica.
 ALESSANDRO
 Né in te nasce desio del ben perduto?
 ADDOLONIMO
1100Nel mio angusto orticel trovo il mio regno.
 Con aver quanto basta, ho quanto chiedo;
 e in nulla posseder, tutto possiedo.
 ALESSANDRO
 Oh te felice! Esser vorrei te solo,
 se non fossi Alessandro.
1105Vattene. Non invano
 mi ti offriro gli dei.
 Spera sorte miglior. Degno ne sei.
 ADDOLONIMO
 
    Ah, non mi dir ch’io speri,
 che se di speme io sento
1110i morsi lusinghieri,
 addio, mia pace.
 
    Lungi da questo sen
 sì amabile tormento,
 sì placido velen
1115che uccide e piace.
 
 SCENA IX
 
 ALESSANDRO, poi EFESTIONE
 
 ALESSANDRO
 Se il pensier non m’inganna e l’apparenza,
 quel saggio in lui ritrovo...
 EFESTIONE
                                                  A te, mio sire,
 questo foglio è diretto.
 ALESSANDRO
                                            Onde l’avesti?
 EFESTIONE
 In uscir di tue stanze
1120uom plebeo mi si accosta;
 mi crede il re; mel porge; e poi sì ratto
 sen va che invano io fo seguirne i passi.
 ALESSANDRO
 Riponilo in mia stanza. Ad altro tempo...
 EFESTIONE
 No, mio signor, che può da breve indugio
1125o a te nascer periglio o altrui sciagura.
 Che sai qual vi si chiuda arcano o voto?
 Chi è re nulla trascuri e tutto ascolti.
 ALESSANDRO
 Ben consiglia il tuo zelo. Aprilo e leggi.
 EFESTIONE
 «Re, nel giardino, ove hai di andar per uso,
1130guardati di por piede. Ivi a tua vita
 v’è chi macchina insidie.
 Credi al zelo e alla fede
 di chi, fuor che salvarti, altro non chiede».
 ALESSANDRO
 Insidie alla mia vita?
 EFESTIONE
1135E insidie a re sì giusto? Or che far pensi?
 ALESSANDRO
 Sorprenderne l’autor, dov’ei le trama.
 EFESTIONE
 Ci andrem con gente armata.
 ALESSANDRO
 No, che questo faria l’empio più cauto;
 e il mostrarne temenza a me sconviene.
1140Solo vi andrò; tu sarai meco; venga
 con noi Straton. Cade il mio dubbio in lui.
 Conosco il fiero genio e l’odio antico;
 e di rado si placa un gran nimico.
 EFESTIONE
 Saggia hai la mente e generoso il core.
 ALESSANDRO
1145Troverò il traditore;
 ma chi sa poi se troverò il fedele?
 Nol permettan gli dii; che sfortunato
 troppo sarei, se fossi
 giudice al fallo e al beneficio ingrato. (Si parte)
 EFESTIONE
 
1150   Son tutto orrore e sdegno
 nel rischio del mio re.
 
    Contro il fellone indegno
 s’armi la ria vendetta,
 vegli l’amica fé.
 
 Il fine dell’atto terzo